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07/23/2025

GENITORIALITA' OLTRE UNA PROSPETTIVA ETERO NORMATIVA. Al di là del modello

Marta Iungo

Quando si parla di “genitori”, l’immaginario collettivo corre ancora, quasi automaticamente, a una coppia composta da una madre e un padre. È un riflesso culturale potente, che affonda le radici in secoli di rappresentazioni, istituzioni e norme. Per lungo tempo, la genitorialità è stata intesa e rappresentata infatti solo all’interno di una cornice etero normativa, che assume come unica forma legittima e “naturale” di famiglia quella composta da un padre e una madre, uniti in una relazione eterosessuale e stabili nel loro ruolo di caregiving. In questa prospettiva, la presenza di un genitore maschile e di uno femminile è stata considerata complementare e insostituibile, nella convinzione che essa garantisca il corretto sviluppo psicoaffettivo del bambino (Golombok, 2000; Patterson, 2006).

Eppure, la realtà è molto più ampia e complessa, anche se questo modello normativo ha avuto e ha ancora un impatto significativo non solo sul senso comune, ma anche su alcune istituzioni giuridiche, scolastiche e psicologiche, che per anni hanno escluso – o considerato “a rischio” – tutte le forme familiari che si discostavano da questo schema. Come osserva Judith Butler (2002), la “norma” eterosessuale opera non solo come descrizione di una maggioranza, ma come dispositivo regolativo che stabilisce ciò che può essere riconosciuto come legittimo, degno, intellegibile. Questa logica ha contribuito a rendere invisibili o marginali, anziché comprese e riconosciute nella loro piena valenza relazionale, tutte quelle forme di famiglia che non corrispondono a questo modello comprese le famiglie omogenitoriali.

Negli ultimi decenni, tuttavia, un numero crescente di studi ha messo in discussione l’assunto secondo cui una buona riuscita della funzione genitoriale dipenderebbe dal genere o dall’orientamento sessuale dei genitori. Al contrario, ciò che emerge in modo costante nella letteratura scientifica è che la qualità delle relazioni affettive, la stabilità del legame, la capacità di cura, ascolto e presenza emotiva sono gli elementi chiave per un sano sviluppo del bambino (Golombok et al., 2014; Bos et al., 2007; Farr et al., 2010).

All’interno di questa nuova cornice, diventa possibile guardare alla genitorialità non più come a un compito legato a un’identità sessuale prestabilita, ma come a una funzione che può essere esercitata – con amore, responsabilità e continuità – in contesti familiari anche molto diversi da quello tradizionale. In questo articolo, proveremo dunque a decostruire l’idea di una genitorialità “naturalmente” eterosessuale, esplorando ciò che oggi sappiamo sullo sviluppo psicologico dei bambini e sulla formazione dei legami di attaccamento in famiglie con due mamme o due papà. Lo faremo intrecciando dati empirici, riflessioni teoriche e uno sguardo attento alla realtà vissuta di queste famiglie, sempre più presenti – anche se non sempre riconosciute – nel nostro contesto sociale.

Nonostante le famiglie con due mamme o due papà siano oggi una realtà crescente e sempre più visibile, continuano a essere oggetto di stereotipi e interrogativi, spesso legati più a convinzioni culturali che a dati scientifici. Una delle domande più ricorrenti riguarda il presunto “vuoto” educativo o affettivo che deriverebbe dall’assenza di una figura materna o paterna, come se il genere del genitore fosse automaticamente garante di una funzione specifica. Questa idea si fonda su un modello binario e complementare delle funzioni genitoriali: il padre come figura normativa e separante, la madre come figura accudente e contenitiva.

Tuttavia, numerose ricerche dimostrano come le funzioni genitoriali non siano biologicamente determinate, ma apprese e distribuite in base alla relazione e al contesto. I ruoli di cura, protezione, regolazione affettiva e sostegno allo sviluppo possono essere svolti da qualunque adulto significativo, indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale (Lamb, 2010; Biblarz & Stacey, 2010). In particolare, gli studi sulle famiglie omogenitoriali mostrano che i bambini cresciuti in questi contesti presentano livelli di benessere psicologico, autostima, adattamento sociale e rendimento scolastico del tutto sovrapponibili a quelli dei bambini cresciuti in famiglie eterosessuali (Patterson, 2009; Gartrell & Bos, 2010).

Un altro dato interessante riguarda la condivisione dei ruoli e la distribuzione delle responsabilità educative: molte famiglie con due mamme o due papà mostrano una maggiore equità nella gestione delle cure quotidiane e una più consapevole negoziazione dei compiti genitoriali, proprio perché non possono contare su modelli predefiniti da replicare (Goldberg, 2012). Questo elemento, lungi dall’essere una debolezza, rappresenta spesso un punto di forza in termini di flessibilità, dialogo e cooperazione.

Dal punto di vista psicoanalitico e dell'attaccamento, ciò che conta non è la presenza di una madre o di un padre “per genere”, ma la possibilità per il bambino di sviluppare un legame sicuro, ovvero una relazione stabile, coerente e affettivamente significativa con una figura (o più figure) di riferimento.

La teoria dell’attaccamento, sviluppata da J. Bowlby e approfondita successivamente da M. Ainsworth, M. Main e altri, sottolinea come la sicurezza dell’attaccamento si costruisce nella qualità dell’interazione, non nell’identità del caregiver e spiega come il bambino ha un innato bisogno di costruire legami affettivi sicuri con adulti sensibili e disponibili che sappiano rispondere in modo adeguato ai suoi segnali e stati emotivi, ma come la sicurezza dell’attaccamento non sia determinata dal genere o dall’orientamento sessuale del cargiver, ma dalla qualità della responsività e dalla coerenza della presenza emotiva.

Questo è confermato anche dagli studi contemporanei sull’attaccamento in famiglie omogenitoriali, che mostrano tassi di attaccamento sicuro assolutamente comparabili a quelli delle famiglie eterosessuali (van Rjin - van Gelderen et al., 2012).

Numerosi studi scientifici hanno esaminato lo sviluppo dei bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali, confrontandoli con quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. Le ricerche si sono concentrate su vari aspetti, tra cui lo sviluppo cognitivo, emotivo, sociale e l’identità di genere.

Sviluppo cognitivo ed emotivo: le evidenze indicano che i bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali mostrano livelli di sviluppo cognitivo e benessere emotivo comparabili a quelli dei loro coetanei in famiglie eterosessuali. Non sono state riscontrate differenze significative nelle capacità cognitive, nel rendimento scolastico o nella salute mentale.

Sviluppo sociale e relazioni interpersonali: per quanto riguarda le competenze sociali, i bambini di famiglie omogenitoriali sviluppano relazioni interpersonali sane e mostrano adattamento sociale simile a quello dei bambini di famiglie eterosessuali. Non emergono differenze significative nella qualità delle amicizie o nella partecipazione ad attività sociali.

Identità di genere e orientamento sessuale: le ricerche indicano che l’identità di genere e l’orientamento sessuale dei bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali non differiscono da quelli di bambini cresciuti in famiglie eterosessuali. I bambini sviluppano la propria identità di genere in modo autonomo, influenzati da molteplici fattori, e non vi è evidenza che l’orientamento sessuale dei genitori determini quello dei figli.

Benessere psicologico: il benessere psicologico dei bambini in famiglie omogenitoriali è generalmente buono. Tuttavia, è importante notare che eventuali difficoltà psicologiche possono derivare da fattori esterni, come la stigmatizzazione sociale o la discriminazione, piuttosto che dalla struttura familiare in sé. La qualità delle relazioni familiari e il supporto sociale giocano un ruolo cruciale nel promuovere il benessere dei bambini; ciò che può generare sofferenza non è l’orientamento sessuale dei genitori, ma il modo in cui la società guarda a quella famiglia. Non è la struttura familiare, ma la discriminazione, l’invisibilità, l’assenza di diritti, i pregiudizi culturali, la mancanza di tutele legali, la mancanza di una normativa chiara e inclusiva. Quando un bambino si sente accolto nel suo contesto scolastico, quando può parlare della propria famiglia, quando vede riconosciuti entrambi i suoi genitori, allora può crescere in modo sano, sicuro e fiducioso.

In sintesi, negli ultimi decenni, la ricerca scientifica ha documentato come lo sviluppo psicologico dei bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali non presenti differenze significative rispetto a quello di bambini cresciuti in famiglie eterosessuali. Gli studi tendono a convergere nell’affermare che non è la composizione di genere della coppia genitoriale a determinare il benessere dei figli, ma, piuttosto, la qualità della relazione affettiva, la stabilità familiare e la capacità di cura. Per citarne alcuni troviamo lo studio condotto da Tasker e Golombok (1997); quello di Susan Golombok et al (2003), Charlotte J. Patterson (2006); di Fedewa, Black e Ahn (2015) etc.

Non esiste un solo modo per essere famiglia, ma molti modi possibili, se fondati sulla responsabilità reciproca e sull’accoglienza delle differenze; è possibile crescere figli sani, amati e sicuri anche fuori dai binari tradizionali e educare all’amore, all’ascolto e alla pluralità potrebbe diventare un potente antidoto contro l’intolleranza. Come afferma Judith Butler “Ciò che conta non è aderire a un modello prestabilito, ma creare forme di vita che rendano possibile l’esistenza di ciascuno” (Undoing Gender, 2004) questo permetterebbe di ampliare così i confini di ciò che è umano e profondamente generativo.

Credo che riflettere sulla genitorialità oltre la prospettiva etero normativa significhi aprire uno spazio di possibilità: uno spazio in cui l’amore, la cura e la responsabilità possano assumere forme plurali, non riconducibili a uno schema binario o a una gerarchia prederminata. Le famiglie con due mamme o due papà non sono una deviazione dalla norma: sono un’espansione del concetto stesso di famiglia.

Ciò che emerge con forza dalla letteratura scientifica, così come dall’osservazione clinica e dall’esperienza personale, è che i bambini cresciuti in queste famiglie possono sviluppare relazioni di attaccamento sicure, una buona autostima, competenze sociali e un’identità solida. Questo non “nonostante” l’orientamento sessuale dei genitori, ma grazie alla qualità affettiva delle relazioni che si costruiscono giorno dopo giorno, con consapevolezza e amore.

Il percorso che ho fatto fin qui con voi, mi porta a concludere con una domanda sicuramente antica: che cos’è davvero ciò che fa di qualcuno un genitore? La risposta più profonda ritengo sia nella capacità di esserci. Di essere presenti, autentici, vulnerabili e forti allo stesso tempo. Di accompagnare, contenere e lasciar andare. È quindi un atto di fiducia nella possibilità di creare legami significativi al di là delle categorie predefinite e in questo atto, profondamente umano, si gioca una delle sfide etiche più importanti del nostro tempo.

 


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